La finestra di fronte

La finestra di fronte

 

Era un vecchio edificio degli anni ’40, scolorito e rigato dalla pioggia, con i muri scrostati e i balconi sbiaditi. Stonava di brutto con le ortensie e i roseti che fiorivano intorno rigogliosi.
Era abitato solo qualche settimana all’anno, quando i proprietari venivano in paese per fuggire al gran caldo che invadeva puntuale la città e sembrava aumentare ogni stagione in modo esponenziale, o forse erano loro ad essere diventati troppo vecchi. Non avevano figli né animali, solo quella casa decrepita che cadeva a pezzi.
Capitava anche qualche altra volta di vedere la loro auto parcheggiata nel cortile. Per tutto il resto del tempo la casa rimaneva chiusa, immobile e silenziosa.
Una sera tardi i vicini intravidero dai balconi aperti il riverbero di uno schermo luminoso, almeno così sembrava. Nessun rumore, nessun movimento, nessuna macchina sul vialetto.
Successe anche la settimana seguente, e 5 giorni dopo ancora, poi dopo altri 3 e infine ogni notte.

Forse era semplicemente il nipote che aveva rotto l’antenna della televisione e veniva lì, in attesa che il tecnico di fiducia rientrasse dalle ferie.

Oppure il figlio del nipote, che passava le serate a giocare con qualche console che aveva comprato senza il permesso dei genitori ed entrava di nascosto con una copia della copia delle chiavi che tenevano per le emergenze.

La moglie del nipote che meditava nell’intima penombra di quel luogo immerso nel silenzio, lontana dalle interferenze domestiche e da necessità che non le appartenevano, ma che la assalivano inesorabilmente a tutte le ore del giorno e della notte.

Il custode che, in assenza certa dei padroni di casa, aveva organizzato un giro di incontri e, fintanto che nelle altre stanze uomini e donne pescati a caso da internet si accoppiavano come animali in gabbia, guardava documentari in santa pace.

Un uomo che aveva trovato al supermercato un mazzo di chiavi con l’indirizzo scritto sulla targhetta. Aveva più volte provato a suonare per restituirle e chiesto in giro notizie sui proprietari. Alla fine non aveva resistito alla tentazione ed era entrato una volta, due, tre.. e a poco a poco aveva fatto dell’abitazione il suo rifugio segreto, come quando da bambino correva a nascondersi nella casa sull’albero ogni volta che veniva preso in giro.

Il demone dell’abbandono che vi dimorava e si sollazzava alternando lo streaming di Gossip Girl con una partita a Guitar Hero con la Wii del pronipote. Talvolta invitava i colleghi per un poker, ma rigorosamente a bassa voce perché poi i vicini, magari, si lamentavano del casino e loro avrebbero dovuto rinunciare alle serate tra maschi.

Il fantasma del conte che, annoiato e relegato all’interno di quelle quattro mura finché non fosse arrivato qualcuno a prendere il suo posto, aveva recentemente scoperto l’apparecchio televisivo e lo trovava molto più rilassante, almeno per ora, che spaventare degli inquilini immaginari in scenografie che improvvisava nei minimi dettagli per non deludere la platea di fedeli topi che assistevano attenti allo spettacolo. Anche i topi parevano gradire il nuovo intrattenimento.

Una famiglia di folletti che era stata addestrata dalla lobby locale dei gestori dei servizi ad accendere qualsiasi tipo di elettrodomestico, ad attivarne e disattivarne le funzioni, a riprogrammarne l’uso in maniera del tutto casuale. Si sbizzarrivano così tanto che la voce si era diffusa tra elfi, gnomi e puffi e si era formata una folta comunità di entità paranormali di ogni tipo, tutte intente a combinar disastri, fuori controllo. In compenso la criminalità urbana e le baby gangs sembravano essere diminuite.

Uno scrittore di noir straniero che aveva preso in affitto una stanza per scrivere racconti sulla strana coppia che abitava di fronte, senza distrazioni, quando la casa era chiusa, immobile e silenziosa.

 


One thought on “La finestra di fronte

  1. alicetraforti Rispondi

    Ecco un’aggiunta, ispirata da un interessante spunto di +Marco Lazzara!

    La casa, che finora era rimasta chiusa e silenziosa, si illuminava a poco a poco di vita propria. Aveva regolato ciascun orologio sul fuso di New York, Pechino e Istanbul: da una vita desiderava visitare quelle città che stavano sullo scaffale delle enciclopedie. Poi fu la volta dei soprammobili, nascosti in uno scatolone a causa dell’allergia all’inutilità. Iniziarono a spuntare gambe dai tavolini, braccia dai lampadari, bocche dai lavandini, occhi sulle porte, orecchie sotto ai letti, nasi su tutte le cose rosse, sederi dentro gli armadi, ginocchia sulle pareti, coppie di mani e piedi ovunque. I pezzi si mescolavano, facevano amicizia, e poi si aggregavano formando sculture composte da rubinetti, intonaci, materassi, dita, talloni e guance, che si muovevano gattoni per tutte le stanze.
    All’improvviso, con un gran boato e tremore, la casa intera si sollevò da terra e corse via, dietro a una farfalla bianca che passava di lì per caso.

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